Basta alla cultura dell'insicurezzaIn un recente comunicato stampa, il Presidente della FIAB Antonio Dalla Venezia prende lo spunto da un gravissimo incidente in cui un bambino di 9 anni è stato travolto e ucciso mentre percorreva un tratto di pista ciclabile per dire basta alla "cultura dell'insicurezza" e lanciare un appello a chi ha la responsabilità politica di garantire la sicurezza stradale. Ennesimo incidente sulle piste ciclabili, diciamo basta alla “cultura dell’ insicurezza” Il gravissimo incidente in Val Venosta - dove una moto che percorreva una pista ciclabile ha investito, sotto gli occhi dei genitori, un bambino di 9 anni in sella alla sua bici, cagionandone la morte - avviene a solo pochi mesi di distanza dall’altro analogo incidente avvenuto a Bormio e ripropone ancora una volta l’assenza di una politica locale e nazionale che abbia come elemento strutturale una vera “cultura della sicurezza”. E per cultura della sicurezza in senso sostanziale, e non formale, non intendiamo quella che si limita a disseminare il territorio di telecamere ed occhi elettronici, bensì quella che è in grado di modificare i comportamenti individuali dominati da una forte componente aggressiva, imprudenza, violazione diffusa delle regole. Questa volta il fatto, irreparabile, è avvenuto addirittura in un luogo teoricamente protetto per definizione: la pista ciclabile. Molto spazio è stato dato nella recente campagna elettorale al senso di insicurezza dei cittadini rispetto alla microcriminalità, mentre ancora una volta poco o nulla si è discusso in merito al fatto che le strade italiane sono, da tempo, tra le più insanguinate d’Europa. E che a farne le spese, in termini di morti, feriti ed invalidi, sono in particolare i soggetti che la nostra normativa definisce “deboli” (bambini, anziani, diversamente abili, ecc.). Con costi individuali e sociali elevatissimi ed insopportabili. E’ evidente che bisogna agire su più fronti: da una parte è necessario ridefinire il ruolo della strada come luogo di tutti, reso accogliente e sicuro anche attraverso il ridisegno degli spazi e gli interventi di moderazione del traffico; dall’altra bisogna rafforzare i controlli e la responsabilizzazione. Strade più sicure, utenti più informati e comportamenti più corretti. Ormai da troppi anni si è scelto di sostituire l’attività di prevenzione dei cattivi comportamenti “quotidiani” degli italiani alla guida da realizzare attraverso un minuzioso controllo del territorio con un più comodo sistema sanzionatorio a “consuntivo” che ha avuto come unico risultato quello di far cassa: non si spiega altrimenti il fatto che la voce più “pesante” dell’attività delle Polizie Locali sia quella legata ai proventi delle contravvenzioni per divieto di sosta. E’ sufficiente girare a piedi e in bici nelle nostre città per accorgersi di quali e quanto diffusi siano i comportamenti dei conducenti dei mezzi a motore che contribuiscono a creare un clima generale di insicurezza stradale. A partire dalla mitizzazione della velocità. E poi strutture inadeguate, segnaletica non appropriata, cattive abitudini, comportamenti imprudenti, regole aleatorie, scarsi controlli. Ma noi non vogliamo rassegnarci a far la conta dei morti e feriti di una guerra non dichiarata. Vogliamo politiche incisive che partano dalla consapevolezza del problema senza ridursi a circoscrivere la responsabilità ai comportamenti, possibilmente devianti e marginali, con semplificazioni comode, specie sul piano della comunicazione mediatica (es. stragi del sabato sera, guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti), ma non realistiche.
La sicurezza stradale non nasce dal caso.
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